E’ stato scritto tutto e il contrario di tutto su Marilyn Monroe: la più sexy, la diva, capricciosa, depressa, instabile, umorale, ritardataria, pazza. Un ottimo quadro per costruire un suicidio più che realistico. Nell’ambito di una cultura raccontata dagli uomini.
Ma non secondo la versione delle donne, per le quali quelle caratteristiche sono segnali di un disagio profondo verso quella cultura, sono reazioni di ribellione alla sua sopraffazione di chi non trova sponde neanche tra gli amici, e soprattutto da parte di chi, amandola, avrebbe dovuto e potuto essere dalla sua parte senza riserve.
Per questo era necessario raccontare la sua vita: l’orfanotrofio e gli affidamenti, il dramma dello stupro, il riscatto nel lavoro, la sua valutazione del suo tempo tra maccartismo e pop art, la segregazione e il jazz, le guerre che hanno disumanizzato il l’America, consegnandola al liberismo; e poi la sua battaglia per l’autonomia, la lotta per contrastare l’immagine che major e media le costruivano addosso, la difesa dei suoi spazi per conciliare amore e lavoro.
Ma non un racconto storico, bensì parola poetica, questo è stato necessario per incarnare la sua vita reale, farle prendere forma e occupare lo spazio, per uscire una volta per tutte da un’idea di colpa e di giustizia che non cambia mai la sostanza della Storia.
Doveva esser detto, o più che detto fatto, perché quello di Marilyn è un femminicidio per eccellenza, è il delitto capitale: l’eliminazione dell’altro per evitare di affrontare se stessi. Una spirale che va fermata mettendo a fuoco un altro modo di stare al mondo, di cui la poesia e il jazz, parti costitutive della vita di Marilyn, sono già chiaro segno.
E come tali, nello stesso segno di ciò che lei ha incarnato, non potevano che costituire la forma e la struttura del testo. Elementi che permettono di uscire dallo spettacolo con la conoscenza ben diversa di Marilyn Monroe, catturati anche dalle immagini che lei usa per raccontarsi, visionate come davanti a un museo della memoria, perché incarnano un’epoca, una cultura, e in definitiva, insieme a lei, proprio quell’alterità.
Dunque assolutamente attuali, e presenti. Terribilmente vivi e inquietanti, ci costringono a prendere atto di qualcosa di irrisolto che ci attraversa, e che freme per essere riconosciuto ed espresso.
Anna Maria Bruni
TEATRO YGRAMUL – in scena il 23 marzo 2018
TEATRO DEGLI IMPAVIDI – SMASCHERA XVI – ridotto del teatro, in scena il 21 maggio 2018