MONTESACRO È UN’ASTRONAVE

Agosto 31, 2023 0 Comments

di Sabrina Zunnui

Montesacro le sembrava Roma, Roma però non era Montesacro. Questo vedevano gli occhi di Elisa, bambina curiosa con lo sguardo rivolto verso il cielo o meglio verso lo spazio, inteso proprio come stelle e pianeti. Perché così si sentiva, figlia dello spazio e di Montesacro. Non aveva mai capito perché era capitata proprio lì, tra Viale Tirreno e Val Padana, perché i suoi genitori avevano scelto insediarsi in quella specie di avamposto con dietro il nulla, solo campagna, prati e pecore.

Montesacro, pensava Elisa, è un’astronave atterrata ai bordi di Roma con tre passerelle d’asfalto per agganciarsi alla città. La sua era il Ponte delle Valli. L’astronave era atterrata prima che lei nascesse, e per diverso tempo Elisa aveva creduto che una figlia delle stelle potesse nascere e vivere solo lì, dentro l’astronave. Certo, quel nastro d’asfalto sospeso sopra il fiume Aniene, prima o poi l’avrebbe percorso, perché se atterri da qualche parte, come minimo poi ti guardi intorno e parti in esplorazione. Ma per il momento, Montesacro poteva bastare. Del resto, era incredibile la velocità con cui si espandeva, sembrava lievitasse.

Un giorno, a spasso con la mamma, vide in fondo a via Conca d’Oro una collina tutta coperta d’erba e un signore con un cappello vecchio e tante pecore bianche e lanose. Poco tempo dopo non c’era più neanche la collina, ma solo una distesa di gru altissime, blocchi di cemento e un palazzo nuovo con i balconi bianchi e le ringhiere d’acciaio che brillavano al sole. Montesacro si ergeva verso il cielo.

In un’altra occasione ebbe modo di vedere i confini a est dell’astronave. Fu quando sulla 600 con il padre, si ritrovò in quel grande viale che si chiamava come il mare che la maestra le aveva dato da studiare: il mar Ionio. Be’, anche lì dopo quelle case gialle con i giardini e i cancelli ad arco, alla fine di viale Ionio c’erano i prati con le pecore lanose e il signore con il cappello vecchio. Immaginava allora che l’uomo fosse un guardiano e compisse ogni giorno un giro attorno all’astronave, così oltre a far brucare le pecore poteva osservare chi saliva o scendeva dall’astronave, chi era alla ricerca di un luogo dove insediarsi e mettere su famiglia e chi di notte sgattaiolava via da quell’avamposto piazzato nel nulla, dove la vita della città arrivava come un’eco. E lui teneva conto di tutti.

Quella volta si era spaventata, non sapeva bene perché, forse l’uomo col cappello vecchio le sembrava un oscuro figuro che aveva anche il potere di decidere chi doveva andare e chi restare. Così non vedeva l’ora di tornare verso luoghi a lei più familiari, come la chiesa e

l’asilo davanti casa, la strada grande con i palazzi e le tapparelle verdi che incontrava per andare a scuola, i palazzi della Marina.

La scuola elementare Giuseppe Parini a piazza Capri era un palazzo alto, giallo. Le sembrava la prua di una nave da crociera che solcava il mare d’asfalto tagliando in due viale Tirreno. Era un posto importante per lei, la scuola. Si sentiva investita di una certa autorità per quel suo impegno quotidiano… la Parini poi, dove andavano tutti i bambini dell’astronave Montesacro… o così almeno lei credeva. Del resto a Elisa tutto sembrava imponente, e tutto da scoprire. Quelle strade larghe perfettamente disegnate a griglia, si incrociavano come in un gigantesco foglio a quadretti, lo stesso del suo quaderno di matematica. Via val Santerno con via Val di Lanzo, via Valle Vermiglio con Viale Val Padana. Erano nastri grigi con i marciapiedi bordati di bianco. Le uniche note di colore erano le macchine, in verità, poche. Nella sua strada ce n’erano parcheggiate sei o sette al massimo. Stavano lì solitarie e sornione in attesa che qualcuno le venisse a prendere per poi posteggiarle in un punto diverso della strada. Per Elisa era un gioco: quella rossa prima era lì, ora è all’angolo con via val Santerno, quella grigia è ferma sotto l’albero da due giorni.

Era silenzioso Montesacro, rassicurante guscio che conteneva tutto quello di cui si può avere bisogno. Compreso il cielo di notte, quello che vedeva dalla finestra della cucina. Così profondo, nero cosparso di stelle piccole ma luminose, di una luce bianchissima e fredda, come quella dei lampioni lungo via Conca d’Oro, bordo estremo dell’astronave, che da una parte aveva palazzi alti otto piani che sembravano torri di controllo, e dall’altra, il buio del parco, che di notte avrebbe potuto inghiottire qualsiasi cosa. E le scrutava per ore, quelle stelle, cercando di intravedere un segno, una linea un movimento che le indicasse il perché da lassù era arrivata quaggiù.

Per questo Elisa non era ancora particolarmente attratta dal nastro d’asfalto e cemento che si agganciava imponente alla città, il ponte delle Valli. Un passaggio obbligato per centinaia di macchine che lo attraversavano ogni mattina per tuffarsi nel mare magnum della metropoli. E gli altri due ponti? Elisa non aveva mai dato importanza a Ponte Tazio sulla Nomentana. Non gli aveva mai riconosciuto la dignità di ponte, non lo riteneva un collegamento funzionale per unire Montesacro alla città, troppo stretto, per niente adatto alla velocità delle auto. Insomma, una seconda scelta. Il terzo ponte poi era impraticabile, lontano, a Prati Fiscali, e solo per le macchine.

Ma poi arrivò il gran giorno, quando per la prima volta ebbe il permesso di prendere l’autobus da sola, o meglio con sua cugina. Salirono sul 58, percorsero il lungo nastro d’asfalto, e scesero a viale Libia. Lì, capirono che qualcosa di grande e sorprendente le attendeva, la città era una grande promessa e nulla sarebbe stato più come prima. Al ritorno si sentiva emozionata, su di giri, a breve avrebbe ripetuto l’impresa. Voleva capire bene se quello che aveva visto al di la del ponte era lì anche per lei. Quel trionfo di negozi, vetrine, colori, via vai di gente e chissà che luci, la sera. Faceva i conti Elisa, quanto poteva

allontanarsi? Come trovare un motivo per andare oltre? Fino ad allora la sua astronave era tutto ciò che poteva desiderare, o forse era solo un mezzo per arrivare lì e poi iniziare la grande avventura della vita? Non era facile, sentiva l’inquietudine che si infilava nelle pieghe dei suoi desideri di conquista e la costringeva a tornare nella cuccia. Una frustrazione continua che tentava di allentare concentrandosi su quel che aveva di bello: le sue amiche del cuore, le strade, la sua casa e quella delle cugine. Anche lì aveva i suoi negozi preferiti, il parco a Conca d’Oro, che però di notte poteva inghiottire qualsiasi cosa, il cinema, l’Antares! Ci era andata più volte con i suoi genitori, come al ristorante Picchiapò a viale Tirreno. Di domenica da Picchiapò i pranzi erano chilometrici, non finivano mai, con i suoi genitori e gli zii che dopo il dolce prendevano il caffè e poi l’ammazzacaffè e poi la sigaretta, continuando a chiacchierare e ridere, mentre lei con sua sorella e le cugine ciondolavano sfinite sulle sedie e non vedevano l’ora di tornare a casa. Come rinunciare a tutto questo? Come ridimensionarne il valore per desiderare di spingersi oltre? Così piombava in una grande solitudine che stemperava guardando il cielo di notte sopra Montesacro, per ricordarsi sempre da dove era arrivata.

Ma la vita fa il suo corso e ti toglie dall’imbarazzo costringendoti a prendere decisioni che avresti voluto prendere con un tempo tutto tuo. L’occasione arrivò quando si doveva decidere cosa fare dopo le medie. Il liceo, ma quale? Classico, scientifico, artistico, linguistico? Gli ultimi due per Elisa non avevano un forte appeal e poi erano troppo lontani, quindi bocciati in partenza. Rimanevano il classico e lo scientifico. Certo il classico aveva parecchi punti a suo favore, la storia, la filosofia, la letteratura, sarebbe potuta andare al Giulio Cesare e attraversare il ponte tutti i giorni, oppure da temeraria arrivare addirittura al Tasso a via Sicilia, al centro. Non certo all’Orazio, perché sarebbe rimasta nel quartiere e pure in periferia verso la campagna, sempre sotto l’occhio vigile dell’uomo col cappello vecchio e le pecore lanose.

Certo poi che da figlia delle stelle, era abituata a chiedersi il perché di tutto, per esempio, di come fanno le idee a trasformarsi in cose, in materia. Era successo anche a lei, che dalle stelle era diventata Elisa a Montesacro. Per rispondere a tutto questo il liceo classico non le sembrava adatto, no. Forse meglio lo scientifico, con fisica, matematica, geografia astronomica, e poi letteratura, storia, filosofia, pure latino! Furono giorni di riflessione, ansia e di confronti con la sua amica del cuore che la decisione l’aveva già presa, essendo un anno più grande di lei. Maddalena andava all’Archimede, il liceo scientifico a via Vaglia. All’Archimede… così però sarebbe rimasta nel quartiere, non avrebbe attraversato il ponte, non avrebbe superato i confini dell’astronave. Ma come spesso accade nella vita di una quasi adolescente, in alcuni momenti il rapporto con l’amica del cuore, detta l’agenda più dei propri genitori. Elisa aveva quasi un anno per pensarci. Del resto, per una che stava valutando di prendere ingegneria aerospaziale oppure astrofisica all’università, era giusto così, in cuor suo stava pianificando di attrezzarsi per tornare verso le stelle, da dove era venuta.

Ma il ’77 non fu un anno qualunque e l’Archimede non era un liceo qualunque. La sua fama lo precedeva. I compagni del Pci, Lotta continua, Autonomia operaia, presidiavano il liceo, e spesso erano scontri con i fascisti di Talenti e di corso Trieste, di lì a poco anche la Digos sarebbe stata di casa.

Quello che Elisa credeva fossero solo rumori di fondo nella sua esistenza, si trasformarono presto in uno tsunami che nel giro di pochi mesi la proiettò in una dimensione che non poteva prevedere, neanche solo immaginare.

Così, travolta dalla vita che arrivava, avrebbe superato i confini lasciando dissolvere in un attimo la sua idea sognante di Montesacro astronave, per essere lanciata a bomba nel vortice dell’esistenza di quegli anni che non avrebbero fatto sconti a nessuno. Neanche a una figlia delle stelle. Montesacro era Roma.

Tratto da “a Roma Montesacro” a cura di M. Rinaldi. Edizioni della Sera.

 

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