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thomas mann

Kerala, donne libere per legge, impure per gli Indù

La catena umana delle donne indiane


Se mettessi in fila i paesi
che considerano le donne impure per via delle mestruazioni, e quindi segregate, esiliate, soggette a divieti, entrate nel mirino del nostro spettacolo “Il laboratorio della vagina” da quando iniziammo questa avventura l’8 marzo del 2017 con quello che allora chiamammo “LOtto per Lei”, la messa in scena durerebbe ore.

Ma sembra sia il caso di continuare a battere questo chiodo: è notizia di ieri che in India, nonostante la Corte Suprema abbia decretato aperto a tutti, ovvero anche alle donne, l’accesso ai templi sacri,  gli integralisti Indù hanno dato vita a scontri violentissimi dopo che due donne, Bindi Ammini, 40 anni, e Kinaka Durka, 39, hanno deciso di varcare la soglia del tempio Ayyappa a Sabarimala, nel Kerala.

La reazione alla cultura patriarcale indiana è stata fenomenale: 3 milioni di donne sono scese in piazza formando una catena umana di 680 chilometri, riporta il Fatto, segno della volontà di pretendere il rispetto delle donne.

La protesta contro rapimenti e stupri di donne e bambine


Un’inversione di tendenza
che sicuramente la sentenza della Corte ha messo in moto, ma che le donne indiane hanno immediamente messo in pratica, in una nazione che ha ancora 24,5 milioni di spose bambine, il 47 % delle minori, nonostante dal 2017 la Corte abbia emesso una sentenza che dichiara reato di stupro il rapporto sessuale nei matrimoni con le minorenni, e dove il 35 % delle donne e delle bambine subisce violenza fisica e sessuale da parte del partner o di sconosciuti.

Temi lontani da noi, da un paese “civilizzato” come il nostro, sembrano essere, tanto che a fare una ricerca su questi numeri si scopre che i media hanno dati fermi per lo più al 2016. Eppure, a leggere il rapporto di Save the Children “Infanzia rubata”, si scopre che l’Italia è al nono posto per numero di spose bambine. Nono. L’Italia. Bisogna ripeterselo perché leggerlo una volta non basta per prenderne atto. Per non parlare di stupri e femminicidi, fra quelli – è bene dirlo – di cui si ha notizia, senza contare le denunce ancora ai minimi: solo l’11,4 % delle donne italiane e il 17 % delle donne straniere ha denunciato.

Un pudore, una reticenza figlie della stessa cultura che considera urticante il titolo dello spettacolo piuttosto che coglierne la provocazione, e che a proprio per questo bisogna continuare a diffondere. Esattamente come noi continueremo a svilupparlo, lungi dal fissarlo in una forma cristallizzata, continuando a denunciare fatti così come a raccontare vissuto, felice o doloroso,  dando corpo e voce a tutte le donne che decidono di avere il coraggio e la generosità di dire a tutte le altre, e a tutti: #metoo, restituendo al teatro la sua vocazione di strumento di battaglia civile per sovvertire una cultura che ci vuole limitate e subalterne, ben oltre leggi e sentenze.

Oltre la religione, musulmane insieme alle indù

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