" Scrivere bene significa pensare bene
e di qui ci vuole poco per arrivare
ad agire bene"

thomas mann

BERHOUZ BOUCHANI, la forza di resistere

Poeta, giornalista e documentarista curdo-iraniano, Behrouz Bouchani, fuggito dall’Iran per sfuggire al carcere, ha scontato sei anni al confino nell’isola di Manus, Australia. “Detenuto in attesa di giudizio”, in sostanza. L’ultima trovata contro un’altra libertà inviolabile dell’uomo.

 

Quel “vuoto” in realtà è pieno. Di un essere umano, con tutto il portato della sua esistenza, la sua fragilità, la sua disperazione, la forza di volontà, i ricordi, le persone amate. La dignità. Il senso della libertà. Tutto ciò che è un essere umano. Un prisma irriducibile a un unicum.

 

E chi pretende di esercitare il dominio non lo sa. Noi siamo portati a credere che la rete che tesse per farti rimanere impigliato fino a soffocarti con i tuoi stessi movimenti per liberarti sia una scelta consapevole, e invece no. E’ solo frutto del braccio di ferro che il dominio esercita nel suo gioco di morte. Semplicemente, se fai un passo, risponde per dimostrarti che è più forte.

 

Trovare una strada fra la disperazione e la rivolta è un percorso che comincia guardandosi dentro. Accettando tutto il marasma che la condizione di prigionia senza nessuna colpa produce. E’ questo quel che ha fatto Behrouz Boochani, scrittore, poeta e documentarista iraniano, fuggito dall’Iran nel 2013 dopo le intimidazioni e gli arresti di alcuni suoi colleghi giornalisti. Behrouz fugge in Indonesia facendo l’esperienza del barcone, che ripete per fuggire da lì sfiorando la morte insieme a tanti altri su un barcone fatiscente.

 

Poi la marina militare australiana li raccoglie ad un passo dal naufragio. Finalmente vedono le coste dell’Australia: il sole sembra sorgere di nuovo sulle loro vite, la libertà sembra a un passo. E invece no. Il governo australiano ha solo pochi giorni prima emanato una nuova legge che stabilisce che tutti i “richiedenti asilo” siano confinati nell’Isola di Manus, in Papua Nuova Guinea. Sono considerati migranti irregolari, e perciò lì aspetta un centro di detenzione, e un confino.

 

Un centro che l’Australia ha preso in affitto dalla Nuova Guinea, che costa al paese e ai suoi contribuenti 10 miliardi l’anno. Una spesa che evidentemente vale la pena, se serve a far vedere chi comanda. A chiarire che gli uomini non sono, e non possono, essere liberi, fintantoché vige un sistema di dominio, incarnato nello Stato-Nazione.

 

Qui Berouz trascorre sei lunghissimi anni. A non fare niente, a non ricevere alcuna spiegazione, ne’ una carta che attesti il suo status e lo lasci libero. Bisogna provare ad immaginare cosa può voler dire ritrovarsi in una condizione di questo genere: è quasi impossibile, non fosse altro che perché esercitiamo naturalmente la libertà di movimento, o non fosse altro che perché tendiamo a rimuovere qualunque immagine che ci provochi oppressione, soffocamento, disperazione.

 

Perché questo è quello che succede, tanto che i suicidi nel centro si moltiplicano, così come i casi di pazzia. Ma Behrouz, dopo il cataclisma interiore a cui quella condizione lo sottopone, trova la strada. Che è la sua strada. Come per chiunque dovrebbe essere. Trovare la propria, che è l’espressione di sé. Behrouz scrive, ha sempre scritto, e non avendo altro mezzo, scrive messaggi whatsapp, che uno via l’altro uno via l’altro, con l’aiuto dell’amico e collega Omid Tofighian, diventano un libro. Nessun amico se non le montagne, perché la sua libertà vola sulle ali delle catene del Kurdistan, a perdifiato, con lo sguardo verso l’infinito.

 

E’ così che Behrouz Boochani si libera dalla prigione, sulle ali del suo libro, che comincia a fare il giro del mondo, diventa un documentario e un testo teatrale, riceve premi e riconoscimenti internazionali. Ma il suo corpo è ancora vittima delle maglie burocratiche: dopo aver chiuso il centro e riconosciuto, dopo tante pressioni, la possibilità di farlo espatriare in Canada o negli USA, ora è l’attesa la nuova forma di dominio. Ma la libertà non si può ingabbiare, né la battaglia per difenderla, ed è su questa scia che il suo nome, e la sua resistenza, passano di bocca in bocca per unirsi a lui finché non gli sarà restituita la sua libertà di movimento.

 

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