Attrice, autrice e regista teatrale, scrittrice e giornalista.

“Desdemona è tornata”. Al via la tournée, prima tappa Avezzano

locandina Avezzano
Anna Maria Bruni

Il Cappello delle donne – Festival di arti performantive organizzato dalla Casa delle Donne nella Marsica, di Be Free cooperativa, in collaborazione con la CPO di Avezzano, ospiterà lo spettacolo che ha chiuso la seconda edizione de “Il Filo di Arianna”. Domenica 26 alle 21 nella piazza principale di Avezzano, il Filo si allunga, la rete si infittisce, i nodi si moltiplicano.

Finalmente ci siamo. Il lavoro di intreccio tra spazi delle donne e teatro che sto tessendo da due anni con Il Filo di Arianna, quest’estate comincia a dare i suoi frutti: “Desdemona è tornata”  sarà in scena alle 21 ad Avezzano, affiancata alle 19 dal concerto “Women around the blues” del duo Acoustic blues di Sabrina Zunnui e Tiziano Natale. Il progetto di Spazio Libero aps, nato a Spazio Donna – San Basilio e giunto alla seconda edizione, si allarga al territorio nazionale.

Lo spettacolo, andato in scena il 21 dicembre scorso al Teatro 7 Off di Roma, ha chiuso con successo gli eventi che hanno costellato il percorso di quest’anno intrecciando la Rete Transfemminista che sta nascendo in III Municipio con l’obiettivo di realizzare incontri e iniziative e moltiplicare spettacoli per dire basta alla violenza di genere spazzando via radicalmente, giorno per giorno, la cultura patriarcale attraverso il coinvolgimento e la partecipazione, primi tasselli di una nuova cultura della cura, della conoscenza, del rispetto, basi essenziali per stabilire relazioni. “La democrazia comincia a due”, scriveva Luce Irigaray, ed è assolutamente così, perché vuol dire ascolto. Del resto la stessa parola “relazione” è questo, altrimenti è solipsismo, monologo, dove la donna è solo l’oggetto del desiderio, del possesso, dell’imposizione, del controllo, della sopraffazione.

La guerra che abbiamo davanti agli occhi dal 24 febbraio  è la rappresentazione plastica della massima espressione della violenza patriarcale: un conflitto sulla pelle di milioni di persone che non l’hanno certo deciso né tanto meno voluto; lo sterminio, gli stupri, i rapimenti di bambini, i profitti dei produttori di armi, i profitti della finanza con la speculazione sui generi di prima necessità, dal cibo al gas, e sempre tutto, di nuovo, sulla pelle di milioni di persone, non solo ucraine ma anche europee e africane. E a moltiplicare la violenza la graduatoria dei profughi, e quella delle notizie: i media si sono sperticati quotidianamente nel racconto di questa guerra, in senso inversamente proporzionale a tutte le altre tutt’ora in atto, dallo Yemen al conflitto istraeliano – insieme all’occupazione delle terre e all’aparheid – contro i palestinesi, al Mali e via così.

Non potevamo non accostare le cose, ed è quello che ho fatto nella seconda parte dello spettacolo. Perché denunciare la violenza significa andare alla radice della struttura sulla quale si regge questa società, dimostrando quanto ogni suo ganglio sia collegato e si regga con l’altro. Non c’è ambito esente dalla violenza: pensiamo alla burocrazia, apparentemente priva di responsabili. Una violenza insopportabile. Privare le persone della possibilità di interloquire, protestare, cambiare, e anzi mettere al lavoro noi invece di assumere personale, attraverso le modalità di accesso per finire a ciò che per le magnifiche sorti e progressive possiamo/dobbiamo fare noi, da sol@, su ogni sito che ci riguardi. Ore e ore del nostro tempo ed energie mentali letteralmente rubate. Per diventare numeri, annullando il nostro essere senziente; in una parola, la nostra libertà. E’ questa che stanno comprimendo, e noi ce la riprendiamo, cominciando a ricucire sorellanza, cura, ascolto, e tanta, tanta determinazione.

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