Attrice, autrice e regista teatrale, scrittrice e giornalista.

Corporeazione/3. Lo Spazio interiore

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Anna Maria Bruni

Se nel capitolo precedente ho parlato di tempo, ora non posso non parlare di spazio. Che è sì questione concretissima – avere uno spazio fisico è indispensabile, essenziale direi – ma è molto questione, ancora una volta, di tempo.

Io non ho ancora una sede, e con la mia associazione, Spazio Libero aps, e in particolare con la sua sezione dedicata al teatro, ho lavorato ad iniziative, eventi, prove e spettacoli dovunque si è creata la possibilità, in sinergia con altre o da soli. E quando si tratta di fare le prove la questione si fa dolente, perché non sempre è possibile essere ospiti in modo continuativo di un altro spazio, e tantomeno sopportare i costi orari di una sala.

Dunque è sicuramente una questione che deve essere risolta quanto prima, ora che, dopo il lockdown, il lavoro sta di nuovo decollando.

Ma qui io voglio parlare di un altro tipo di spazio, quello interiore, quando diventa esteriore. Avete presente la scena di West side story, quando al ballo Maria e Antonio si incontrano? Se non ve la ricordate ve lo dico io: sparisce tutto, le coppie intorno a loro, le luci, i musicisti, i muri stessi della sala. Esistono solo loro due. La loro emozione è tale da occupare tutto lo spazio.

Lo spazio interiore è diventato esteriore. Quello spazio è lo spazio della propria espressione, non c’è altro. Ecco perché si chiama mise-en-espace, ed ecco perché invece di “spettacolo” io la chiamo Corporeazione. Perché è una ricomposizione di sé, dove il corpo in scena incarna letteralmente il proprio sentire. In effetti, quello che succede quando ci si innamora.

E’ il nostro lavoro, e non è facile, se viviamo condizionando il corpo nei campi ristretti di un dovere i cui dettami ci vengono dall’esterno. La scena, lo spazio scenico è il momento della ricomposizione, dell’allenamento alla ricomposizione. E più è necessario, più è anche questione di tempo. Ma è ineludibile, se vogliamo ridare senso al teatro, fuori dagli effetti speciali, per ritrovare quel “teatro povero”, ricchissimo della complessità che siamo, attraverso i nostri corpi.

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